Romanzo mondo, Vittorio Coletti

 

In Romanzo mondo, Vittorio Coletti sostiene: “Il romanzo si è staccato dalla sua terra nativa e si presta a lanciarsi nel vortice della circolazione globale”.

 

 

I grandi romanzi del passato ‐ Orgoglio e pregiudizio, Madame Bovary, Delitto e castigo ‐ erano saldamente radicati nel loro territorio e nella lingua locale. Anzi, più ne facevano parte, più riuscivano profondi e avevano la possibilità, dopo un’affermazione nazionale, di attrarre un pubblico anche internazionale. Così, nonostante le differenze di lingua e cultura, la Nazione non è mai stata una scatola a chiusura stagna. Gli scrittori si facevano influenzare dai capolavori di altri Paesi ‐ Sterne da Rabelais, Stendhal da Fielding, Joyce da Flaubert ‐ tanto che far studiare le letterature nazionali come fossero a se stanti è stato uno sbaglio. Ma se una piccola parte della produzione letteraria circolava anche all’estero, i territori stessi rimanevano ben diversi; i romanzi erano radicati in quei territori (“Emma Bovary trasferita a Roma non solo non funzionerebbe come emblema della piccola borghesia ottocentesca, ma semplicemente non potrebbe darsi”) e soprattutto gli scrittori indirizzavano le loro opere a un pubblico nazionale; erano coinvolti in un dibattito con chi li circondava.

Nel secondo Novecento tutto ciò è cambiato. Si tratta di un’evoluzione lunga, complessa, ancora in atto, e non sorprende che Coletti stenti a mettervi ordine. Anche con la forte tendenza di culture ed economie ad allinearsi, rimangono differenze importanti tra un posto e l’altro, tra una lingua e un’altra, tra le persone, le tradizioni, i mercati. Dire che “le somiglianze fra le diverse realtà nazionali stavano diventando superiori alle differenze”, quasi ci fosse una linea netta tra differenza assoluta e somiglianza totale, con un punto di svolta superato il quale i romanzi non racconteranno più la loro terra di provenienza, non è molto convincente. Dire che “stava avvicinandosi il momento in cui una vicenda ambientata a Berlino non sarebbe stata troppo dissimile da una ambientata a Lisbona” fa pensare che lo scrittore si limiti a riportare fedelmente le vicende senza che sia lui a decidere se radicarle o meno in un ambiente particolare. Un romanzo che raccontasse per davvero la politica calabrese di oggi troverebbe personaggi e vicende molto diversi da uno ambientato nel Parlamento norvegese.

Citando Coetzee, Coletti fa notare come, man mano che i romanzieri sudamericani, africani e asiatici si sono aggregati alla Repubblica mondiale delle lettere, è emerso il fenomeno di chi racconta non più per il proprio pubblico nazionale, ma per una readership più estesa e tendenzialmente liberale.

Dice Coetzee: “Il romanzo inglese è scritto in primo luogo dagli inglesi per gli inglesi. È questo a farne il romanzo inglese. Il romanzo russo è scritto dai russi per i russi. Ma il romanzo africano non è scritto dagli africani per gli africani. Magari i romanzieri africani scrivono dell’Africa, di esperienze africane, ma mi sembra che mentre scrivono non facciano altro che guardarsi alle spalle, con un occhio agli stranieri che li leggeranno”.

Questo sì che è convincente, e va ben oltre la letteratura africana. È evidente che le opere recenti di Pamuk non si rivolgono più in modo marcato a un pubblico turco, mentre quelle di Rushdie non erano mai rivolte a un popolo indiano. Anzi, dire che il romanzo inglese è scritto dagli inglesi per gli inglesi sembra almeno in parte anacronistico; già dieci anni fa, Kazuo Ishiguro, di origini giapponesi ma considerato uno dei migliori scrittori inglesi, spiegò che il suo stile estremamente spoglio era pensato proprio per facilitare la traduzione e la circolazione globale dei suoi romanzi. E incoraggiava gli altri scrittori inglesi a fare altrettanto.

Tornando (adesso) alle differenze e somiglianze tra Berlino e Lisbona, notiamo un cambiamento comune a tutte e due le città, anzi a tutti i Paesi occidentali. Che mentre ancora nel primo Novecento il romanzo aveva un certo peso culturale e politico in loco, facendo del romanziere una persona importante nella dinamica del Paese e nella costruzione di un’identità nazionale, questo non è più vero.

Oggi la narrativa non è più centrale all’identità collettiva, anche perché il pubblico sta leggendo tanta letteratura straniera. Laddove invece un romanzo abbia davvero un effetto politico, è spesso un incidente di percorso. Rushdie ha più volte spiegato che I versetti satanici doveva essere un romanzo molto privato, e che non aveva previsto una violenta reazione musulmana. Anzi, avvertito che il romanzo poteva suscitare proteste se pubblicato in India, ha creduto troppo cauti i suoi consiglieri. I tumulti che sono poi scoppiati hanno indicato quanto poco quest’autore capisse del mondo di cui si era fatto rappresentante per un Occidente assettato di esotismo.

Venuta meno la possibilità di un ruolo importante nel proprio Paese, diventa sempre più forte il richiamo di una celebrità internazionale resa possibile dalla ormai rapidissima e pressoché globale distribuzione di un romanzo. Anzi, in molti casi sarà proprio il successo internazionale a conferire allo scrittore un prestigio, se non un’influenza, in Patria. Ricordo una conversazione con il romanziere sudtirolese Josef Zoderer, che si dannava perché non era tradotto in inglese. Più recentemente, l’olandese Edzard Mik, autore di otto romanzi, mi ha spiegato che la sua più grande ambizione è farsi tradurre in inglese. “Altrimenti avrò fallito, come scrittore”. Seduto al suo computer, senz’altro online e in contatto via Facebook con tutto il mondo, il romanziere non accetta più i limiti di un pubblico nazionale che non gli concede poi tanta importanza.

Coletti è bravo nel far capire come la nuova vocazione internazionale del romanzo cambi i suoi contenuti e tenda ad aumentare la confusione tra alta letteratura e letteratura di genere. Azzeccato il paragone tra Il codice da Vinci di Dan Brown e Il pendolo di Foucault di Eco, dove la differenza di qualità sta non tanto nel progetto stesso ‐ tutti e due i libri presentano la storia come una vasta cospirazione internazionale ‐ ma nell’eleganza ed erudizione dell’esecuzione. Efficace pure l’analisi di un Baricco che evoca puntualmente “un’atmosfera letteraria à senza lasciar riconoscere epoche e posti precisi”.

Il libro per bambini, ci spiega Coletti, il giallo, il fantasy e il romanzo di fantascienza sono tutti generi che si prestano a una rapida commercializzazione in diversi Paesi. Nel giallo in particolare, l’ambientazione locale può essere recuperata, non come fattore determinante nel puzzle del delitto, ma come esotismo per incuriosire il lettore straniero ‐ “il particolare è il colore necessario per diversificare prodotti analoghi”.

Per uno di quegli strani casi della vita, ho letto il libro di Coletti in viaggio per l’Olanda dove, come parte di un progetto di ricerca dell’Università Iulm su letteratura e globalizzazione, ho passato un mese a parlare con scrittori olandesi e a leggere i loro romanzi (in traduzione inglese, francese o italiana). Nonostante il momento di intenso scontro politico in Olanda, la preoccupazione di tutti gli scrittori era di non chiudersi nella vita nazionale ma di far parte della comunità letteraria più estesa che si va formando. E malgrado la mia nostalgia per i romanzi di altri tempi, le opere di Arnon Grunberg, Christiaan Weijts, Jan van Mersbergen, Anton Valens e Tommy Wieringa mi hanno convinto che si può anche scrivere una buona narrativa senza che il lettore vi percepisca la benché minima particolarità nazionale. Detto questo, ho trovato l’Olanda molto, molto diversa dall’Italia…

 

 

Il testo è l’articolo di Tim Parks sul settimanale Domenica del Sole 24 Ore pubblicato il 21-08-11

 

 

 

 

Il libro

Vittorio Coletti, Romanzo mondo, Il Mulino, Bologna, 2011

 

 

 

L’autore

La libreria

 

 

 

 

 

AC